a cura di Elisabetta Carella. Tratto dal libro “Il desiderio innato di muoversi liberamente” di Silva Scardovi
Dal punto di vista biomeccanico, il piede ha il compito di adattarsi al suolo mantenendo l’equilibrio nei cambi di direzione e di ritmo.
La pronazione e la supinazione sono due movimenti opposti uno all’altro, fondamentali per la funzionalità adattativa del piede in relazione al tipo di terreno con cui viene a contatto (ghiaia, erba, ghiaccio o pavimento liscio) e alle informazioni, a volte compensate che riceve dall’alto (ad esempio scoliosi o asimmetrie antalgiche che ci fanno compensare il corpo per non sentire un dolore).
Durante la fase di contatto del tallone, il piede è in supinazione, ma subito dopo la prima fase di appoggio con il terreno, passa in pronazione.
È un movimento naturale che aiuta a ridurre la tensione articolare e avviene con la rotazione all’interno del piede.
Per avere un’azione efficace e vantaggiosa, il movimento dalla pronazione alla supinazione deve avvenire in modo equilibrato e progressivo. In questo modo anche le altre articolazioni, come il ginocchio e l’anca, lavorano con la massima interazione.
Tutte le famiglie muscolari quindi, complementari e antagoniste, devono trovarsi in condizione di equilibrio.
La pronazione aiuta ad ammortizzare il contatto iniziale; senza di essa, lo shock dell’impatto col terreno sarebbe totalmente trasmesso alle gambe, rendendo la normale meccanica degli arti inferiori meno efficace e più a rischio in caso di gesti improvvisi. Durante la pronazione, i muscoli del polpaccio con il tendine di Achille si caricano come una molla, per poi restituire l’energia durante la successiva fase di spinta in cui il piede funziona da leva rigida che trasmette la forza esplosiva al terreno, prima di riprendere la supinazione. Una pronazione eccessiva impedisce al piede di ruotare; tale movimento è compensato grazia ai legamenti del ginocchio e alle fasce muscolari. Quando tali strutture sono sottoposte ad eccessivo stress, non proteggono più le articolazioni creando dolore e nel tempo lesioni.
Il coinvolgimento funzionale nel cammino si può sintetizzare in:
Quando una gamba si sposta in avanti durante il passo e il tallone entra a contatto con il suolo, le articolazioni di caviglia, ginocchio e anca si flettono in serie. La muscolatura coinvolta si allunga relativamente, per consentire e decelerare il movimento, permettendo fascia di caricarsi elasticamente, accumulando energia potenziale.
Questa energia (energia cinetica) viene rilasciata nel momento in cui il sistema fasciale muove le articolazioni nella direzione opposta, permettendo al corpo di spostarsi in avanti con facilità.
La camminata può essere considerata come una caduta controllata in cui le articolazioni si flettono con un coinvolgimento a spirale e si caricano sprigionando l’energia di movimento, che ci spinge in avanti in modo ergonomico, ammortizzato e leggero.
Il “piegamento” delle articolazioni non solo carica elasticamente i muscoli e le fasce, ma svolge anche un’importante funzione di assorbimento degli urti.
Il concetto di forza reattiva opposta del terreno, si può comprendere provando a saltare su un tappeto elastico. La forza con cui atterriamo sul tappeto allunga elasticamente il tessuto. Il tessuto si ritira, accumulando una pari quantità di energia e realizza una contro spinta verso l’alto.
Un’adeguata tensione fasciale, l’elasticità e lo scorrimento fra muscoli e fasce, si comportano proprio come una rete elastica interna e ci consentono quindi di accumulare e rilasciare energia cinetica senza un eccessivo sforzo, distribuendola su tutto il corpo.
Il ritmo è un fattore chiave per utilizzare in modo ottimale la naturale elasticità della fascia in movimento.
Il sistema fasciale è quindi un tappeto elastico interno che si deforma e si reintegra ad ogni passo. Come avviene per il suolo su cui camminiamo, non tutti i corpi sono ugualmente flessibili. Il grado di elasticità miofasciale dipende da vari fattori; l’età, l’idratazione dei tessuti, l’allenamento (troppo o troppo poco), la percezione e la plasticità corporea, la flessibilità individuale.
Tensioni interne e flessibilità sono differenti in ogni corpo e individuo. Alcune persone si “piegano” e si “distendono” più agevolmente di altre. A volte camminiamo leggeri con la percezione della nostra spinta verso l’alto e avanti. Altre appoggiamo pesantemente i piedi e ci sembra di affondare ad ogni passo. Fortunatamente, il nostro tappeto elastico interno e la nostra flessibilità possono essere allenati come il nostro equilibrio posturale e la coordinazione nel movimento.
Questo percorso rappresenta il viaggio più importante verso la libertà di movimento, dalla nascita e per tutta la nostra vita.
Non sempre il piede riesce a garantire un radicamento elastico e un adattamento vantaggioso per tutto il corpo.
Gli atteggiamenti posturali alterati dal piede possono essere le conseguenze di interferenze di natura ascendente (cioè con origine proprio nell’appoggio dei piedi) o discendente (cioè legate a disfunzioni della colonna, dell’articolazione temporo-mandibolare o dei muscoli oculo-motori e quindi da valutare in maniera più globale).
Qualunque sia il tipo di approccio diagnostico o terapeutico, osteopatico o chiropratico, posturologico o kinesiologico, è importante ricercare informazioni per comprendere il punto di partenza in un sistema di rete e per decidere una priorità d’intervento o la strada migliore da intraprendere.
Non importa il tipo di approccio, ma è importante che permetta di far comunicare attraverso la stessa visione di sistema, un posturologo plantare, con un fiasiatra, un’osteopata, un’optometrista, un odontoiatra o un neurochirurgo.
La qualità di un risultato dipende molto dal gioco di squadra.
Abbiamo tutti bisogno del punto di vista degli altri professionisti. La scelta di mettere un plantare o una soletta può avere necessità di essere armonizzata con un trattamento osteopatico o con un programma di ginnastica visiva, o un approccio ortodontico, perché l’individuo si tiene in equilibrio sui piedi, grazie all’aiuto degli occhi e del sistema vestibolare (struttura legata alla percezione dell’equilibrio), della masticazione, dei sistemi posturali della colonna, delle famiglie muscolari, del sistema vascolare e linfatico e del sistema fasciale che ingloba tutti gli altri.
La valutazione globale permette quindi di verificare le problematiche legate al movimento, alla colonna vertebrale e alla relazione fra appoggio podalico, visione e masticazione, per stabilire la necessità di intervenire nella maniera migliore e complementare, rilanciando l’equilibrio più armonico fra tutti i sistemi.
Quando la responsabilità di un atteggiamento posturale non corretto è del piede, si possono utilizzare plantari o solette per migliorarne l’assetto.
Tutti i plantari sono solette, cioè si interpongono fra il piede e il suolo (come lo è una qualsiasi scarpa), ma le solette non sono plantari.
Il plantare è un presidio ortopedico su misura e viene sviluppato e realizzato per l’uso esclusivo di un determinato paziente.
L’aspetto esteriore del plantare è simile a quello di una soletta, ma il suo scopo è totalmente differente. Rappresenta infatti una correzione attiva della struttura anatomica del piede, con lo scopo di riprogrammare le catene muscolari e le linee fasciali che dai piedi collegano l’assetto posturale, bilanciandone il peso e le forze.
Il plantare svolge pertanto una funzione prettamente terapeutica, correttiva e riequilibrante, riducendo le cattive abitudini date dalla postura e da altri scompensi che possono essere presenti. Come un mediatore di pace, dialoga con queste forze, aiutandole a riprogrammare i sistemi di collegamento anche distanti, in senso più funzionale.
La soletta ha il solo fine di far percepire meglio la scarpa, migliorando la camminata, attutendo l’impatto con il suolo ed assorbendo i traumi causati dall’appoggio del piede. Non è personalizzata.
La realizzazione di un plantare è effettuata attraverso l’analisi del passo, dell’anatomia inferiore del corpo e della biomeccanica.
La pedana baropodometrica permette di misurare le pressioni plantari in fase statica e dinamica. L’analisi delle immagini da parte del tecnico ortopedico permette di evidenziare la presenza di alterazioni posturali e deambulatorie, definendo le caratteristiche costruttive che deve possedere il plantare da realizzare su misura.
É possibile anche osservare l’efficacia dei plantari già realizzati ed indossati dal paziente, confrontando le immagini di diversi periodi (es. pre e post trattamento posturale).
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